La storia di un impasto cotto al barbecue: una cottura casalinga, un incontro che può sembrare strano e atipico, ma vi assicuro non impossibile.
Certo, si tratta di raggiungere un compromesso tra due mondi apparentemente disaccoppiati, tra preparazioni che richiedono cotture ben precise e un approccio alla cucina che consente di avvicinarsi al 90% del panorama gastronomico, pur trovando la giusta via.
Il nostro intento, quindi, è quello di recuperare le basi necessarie e di osservare da vicino l’attrezzatura, gli impasti e le tecniche utili a cuocere i panificati su un barbecue a carbone nella maniera migliore.
La temperatura
Che si tratti di pizza, focaccia o pane, il processo fisico che avviene quando un panificato viene infornato in un dispositivo a temperatura è identico.
Il calore colpisce il semilavorato in tre modi differenti:
- Dal basso (platea) attraverso il contatto diretto con la teglia o la pietra refrattaria (conduzione); è la zona in cui la temperatura dev’essere più elevata per garantire una buona spinta sin dai primi minuti;
- Dall’alto (cielo) attraverso le resistenze di un forno elettrico o ad una calotta refrattaria (irraggiamento); sebbene la temperatura sia più bassa, è una componente davvero importante per la cottura della parte superiore;
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Attraverso i moti convettivi dell’aria calda presente all’interno del dispositivo, che scambia calore con il semilavorato (convezione). L’aria riscaldata si espande e diminuisce di densità e a causa della spinta di Archimede sale verso l’alto, dove raffredda e scende nuovamente. Tale fenomeno fisico è fondamentale nei processi di cottura in ambiente chiuso.
L’attività dei lieviti presenti in un panificato viene profondamente influenzata dall’azione della temperatura: si inibisce fino a quasi fermarsi a circa 4°, ha il suo picco intorno ai 30 °C e decade a circa 60 °C, quando i lieviti muoiono e cessano la loro fermentazione.
Un ambiente caldo e umido costituisce un aiuto non indifferente durante questa fase; esistono in ambiente professionale vere e proprie celle di lievitazione adibite a tale scopo.
Temperatura e umidità si presentano quindi come le giuste leve per sfruttare al meglio i pochi minuti iniziali di cottura, durante i quali l’aria sviluppata dai microrganismi ancora presenti consente all’impasto di gonfiarsi ulteriormente, prima che la morte sopraggiunga.
Sono elementi replicabili al Barbecue?
Si e no.
Per quanto riguarda la Conduzione, basta dotarsi di una buona pietra refrattaria e riscaldarla in maniera efficace per un tempo abbastanza lungo (a seconda dello spessore), in modo che possa accumulare calore e rilasciarlo costantemente sulla base della pietanza.
Nessun problema anche per la Convezione in quanto, se ben utilizzato, un dispositivo con coperchio si trasforma in un vero e proprio forno a combustibile (carbone, legna o gas che sia), nel quale i benefici fisici dei moti convettivi sono in tutto e per tutto presenti.
Discorso diverso per quanto riguarda l’Irraggiamento.
I materiali con i quali sono costruiti i barbecue comunemente in commercio (per lo più ceramica smaltata o acciaio INOX) non apportano infatti un significativo contributo dal cielo o comunque non in modo paragonabile ad una calotta refrattaria di un forno professionale, o anche solo alla resistenza accesa di un forno a incasso.
C’è chi sostiene che l’alternativa migliore sia quella di usare un Bullet Smoker, posizionando su una griglia la pietra refrattaria e su un secondo piano un’ulteriore pietra, un biscotto o dei mattoni del medesimo materiale, in modo da ottenere l’irraggiamento richiesto.
Si tratta di una soluzione, a mio parere, scomoda in quanto a configurazione e setup, oltre che dispendiosa e poco pratica, considerando il tempo necessario a far accumulare calore a tutta la struttura.
La verità è che non esiste al momento un’alternativa valida che possa sostituire efficacemente l’irraggiamento professionale: le pizze prodotte da un Barbecue avranno sempre una cottura meno efficiente sulla parte superiore.
Ciò non vuol dire che i prodotti dovranno risultare bianchi cadaverici, come molto (troppo) spesso si vede; è un compromesso da accettare e da tenere a mente, ma è comunque possibile raggiungere un ottimo risultato ottimizzando la Convezione: saturare la camera di cottura e stabilizzare l’ambiente è il modo in assoluto migliore per uniformare il panificato, ottenendo una pizza con un bel cornicione o un pane con una crosta croccante.
Non è tutto: qui più che mai è necessario giocare con gli impasti, per farsi aiutare durante la prima fase di espansione della maglia glutinica in quanto il calore di un Kettle potrebbe non essere sufficiente allo scopo.
A parer mio, l’impasto migliore è un’indiretto con una buona percentuale di innesto, che possa dare una valida spinta e lavorare sugli zuccheri.
Nel concreto, ottimo è l’utilizzo della cosiddetta Biga, un pre-impasto solido e impastato in maniera grezza, costituito da Farina di forza (almeno 300 W), il 44% di acqua e l’1% di lievito di birra fresco sul peso della farina. La percentuale di innesto che consiglio è del 50% (calcolata in base alla farina della biga in rapporto a quella totale dell’impasto), che permette di avere un buon ausilio e mantenere una parte di nutrimento attiva per la fermentazione finale.
La biga dovrà fermentare in condizioni di temperatura stabile (19-20 °C) per un minimo di 16 ore (Biga corta); l’alternativa è un periodo in frigorifero a 4 °C di circa 24 ore, per poi passare alla temperatura precedentemente indicata per ulteriori 24 ore (Biga lunga): una tecnica decisamente più complessa per la stabilità richiesta ma che consente di ottenere una componente aromatica più marcata e una fermentazione completa dell’innesto.
Il reimpasto avverrà poi con un ulteriore 50% di farina (W tra i 280 e 330), l’acqua rimanente fino al raggiungimento dell’idratazione desiderata (che consiglio, con questa forza e condizioni, intorno al 70-75%), il 2.5% di sale integrale sul peso della farina totale, lo 0.5% di malto diastatico (un’efficace ricarica degli zuccheri, esasperati dalla fermentazione della biga) e lo 0.1% di lievito di birra fresco, sempre sul peso della farina totale, utilizzato come starter per la seconda fase.
I preimpasti sono, di fatto, una pratica via di mezzo tra la fermentazione alcolica avviata dall’usuale lievito di birra e la fermentazione acido-lattica di una lievitazione con pasta madre. Adiuvati da un piccolo starter, i microrganismi naturalmente presenti nel composto fermentano, sintetizzando le molecole proteiche complesse in strutture più semplici, e di fatto digeriscono l’impasto tramite il processo di maturazione.
I vantaggi si sprecano: oltre ad ottenere un semilavorato con maggior fragranza, croccantezza, digeribilità e minor utilizzo di lievito compresso, si riducono i tempi di lavorazione e le temperature del dispositivo (grazie ad una miglior gestione dell’umidità). Inoltre il contributo allo sviluppo del panificato in fase di cottura è enorme, grazie all’elevata percentuale di innesto di una componente pre-fermentata dell’impasto, che di fatto costituisce il vero e proprio agente lievitante della miscela.
L’umidità
Nel caso del pane o della pizza tonda (tipo) napoletana, usuale è l’utilizzo del vapore come ulteriore elemento di ausilio.
Nel pane ritarda la formazione della crosta, consentendo uno sviluppo della mollica senza intoppi; ovviamente è consigliabile dividere la cottura in due fasi di cui l’ultima in fessura (con una valvola leggermente aperta) in modo da consentire al pane di asciugare, ottenendo una crosta croccante e un interno morbido ma consistente.
Discorso diverso per la tonda o preparazioni come gli Hamburger Buns, dove la Reazione di Maillard viene evitata di proposito per mantenere la superficie esterna morbida al punto giusto.
Gli accessori
Diverso è il discorso per quanto riguarda gli accessori, in quanto stiamo parlando di un dispositivo del tutto differente e modulabile grazie alla grandissima gamma di prodotti messi in commercio dalle principali aziende del settore.
Negli ultimi anni le diverse concorrenti hanno cominciato a realizzare verie e proprie add-on allo scopo di trasformare il Kettle in un dispositivo per la cottura dei panificati, con caratteristiche tutto sommato simili. L’alternativa che abbiamo constatato essere la migliore, tuttavia, è il cosiddetto Ring: costituito solitamente da una lamiera in acciaio INOX con la parte anteriore leggermente più alta della superiore, ha lo scopo di evitare il sollevamento continuo del coperchio che causa un inevitabile abbassamento della temperatura e la perdita del poco irraggiamento ottenuto, compromettendo il risultato finale. Per questo motivo, se dotati di uno sportello anteriore, risultano parecchio performanti, a patto che il loro utilizzo sia sufficientemente ponderato.
I modelli migliori hanno un termometro sul fianco della lamiera e vengono venduti con un deflettore metallico che divide l’area di cottura da quella di combustione, in modo che le fiamme non raggiungano in alcun modo la pietanza.
Qualsiasi sia l’accessorio utilizzato, la cosa importante è avere ben chiare sia le basi della cottura casalinga, sia il compromesso dovuto all’assenza di un irraggiamento utile.
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Pietra refrattaria: qui, più che in un forno, è un aiuto non indifferente per l’accumulo di calore in un ambiente che deve essere mantenuto il più stabile possibile. Può essere fatta di lastra di argilla o terracotta e a seconda degli utilizzi previsti può essere più o meno spessa. La particolarità di questo materiale è quello di accumulare calore e rilasciarlo in maniera costante per conduzione, oltre a permettere l’irraggiamento se usato come calotta. Ovviamente quanto maggiore sarà lo spessore, tanto maggiore sarà il tempo necessario per raggiungere il risultato desiderato (in genere va dai 40 ai 90 minuti); utile in questo caso dotarsi di un termometro laser per accertarsi che la temperatura raggiunta sia corretta.
Più spessa è ottima per la cottura di grandi forme di pane, più sottile è ideale per la pizza, sia tonda che alla pala.
Le controindicazioni risiedono, ovviamente, nei lunghi intervalli di tempo necessari a riscaldarla a dovere, che causano irrimediabilmente grossi consumi di energia o combustibile per mantenerla in certi standard. Se il vostro forno ci mette ere zoologiche per arrivare a temperatura, e per giunta disperde gran parte del calore ogni volta che viene aperto, dimenticatevi la pietra, non ne vale davvero la pena.
Un’alternativa valida, seppur non agli stessi livelli, è quella di utilizzare una teglia classica rovesciata; si scalda molto più rapidamente ma senza accumulare calore o cederlo in maniera costante.
In ogni caso, ovviamente, si presuppone abbiate una pala per infornare, dato che usare le mani è altamente sconsigliato.
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Teglie da forno: il supporto più classico e diffuso per la cottura in forno. Spesso tuttavia vengono acquistate senza far caso a come vengono costruite, dimenticandosi che ogni materiale reagisce al calore in maniera completamente differente. Sia chiaro, non esistono teglie sbagliate e teglie giuste, semplicemente alcune sono più adatte di altre per i panificati.
Le teglie in alluminio si scaldano molto lentamente, distribuiscono il calore su tutta la superficie ma gradualmente; i prodotti risultano avere quindi una base molto morbida e poco imbrunita, caratteristica che rende il materiale particolarmente adatto alle focacce o agli hamburger buns.
Le teglie in ferro blu sono le migliori in assoluto per quanto riguarda la cottura della pizza in teglia romana o al trancio. Si scaldano rapidamente, garantendo un ottimo sviluppo e una base croccante al punto giusto. La controindicazione principale è la manutenzione: non possono essere lavate, devono essere periodicamente condizionate per mantenerle antiaderenti ed è consigliabile, dopo il loro utilizzo, coprirle con un velo d’olio prima di metterle via.
Le teglie antiaderenti sono una via di mezzo. C’è chi le demonizza e chi le trova un’alternativa economica per la produzione casalinga; come sempre la verità sta nel mezzo: dipende molto da quale acquistate considerando l’enorme diffusione e reperibilità. Il mio consiglio è di cercarle non rivestite, sottili ma robuste, in modo da raggiungere la temperatura rapidamente senza però rischiare di curvarle dopo pochi utilizzi. -
Termometro a sonda: se istantaneo è di una disarmante comodità per misurare rapidamente la temperatura interna del pane e verificarne la cottura.
Inoltre, un termometro a sonda per la misurazione della temperatura interna sopperisce all’eventuale mancanza dello stesso sulla lamiera di un Ring, su un Firebox o su un qualsiasi Modulo. -
Termometro laser: qui non transigo, è un accessorio che non può mancare per una corretta cottura al Barbecue, specialmente per quanto riguarda la pietra refrattaria. Di nuovo, parliamo di un ambiente da mantenere il più stabile possibile, di condizioni ottimali e dello sfruttamento degli accessori il più possibile consono al risultato finale.
Bastano pochi euro ed è ormai diffuso in ogni dove, perciò fatevi un favore: non privatevene e certificate la temperatura della pietra prima di infornare. -
Griglia rialzata: non per la cottura ma per il raffreddamento. Una volta sfornati, pane e focaccia devono necessariamente riposare su di una griglia in sospensione, in modo da evitare la formazione di condensa che possa rovinare la parte esterna, rendendoli stopposi.
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Legna: più che un accessorio sarà il vostro inseparabile combustibile. Dimenticatevi i bricchetti o il carbone grezzo: non generano abbastanza calore per poter raggiungere l’efficienza completa.
Procuratevi invece dei tronchetti di legna di faggio (o in alternativa di quercia), che hanno una resa maggiore. Vengono spesso venduti compressi e resi di egual misura. Il prezzo è sicuramente non proprio economico, al fronte del quale bisogna tenere conto che, se ben incamerato, un tronchetto di Faggio può mantenere per diverse ore una temperatura stabile di anche 350 °C.N.B. I moderni Kettle (tra cui il diffusissimo Weber Master-Touch GBS 57, usato per le nostre prove) sono strumenti testati per rispondere fino a 800 °C. La legna ardente dura (come faggio e quercia) raggiunge nel punto di combustione (quello più vicino alla vernice del braciere) una temperatura compresa tra i 700 e i 1000 °C, valori quindi fuori scala e non coperti da garanzia; sotto tali condizioni le zone limitrofe alla fonte di calore iniziano a sviluppare piccole bolle sulla vernice, un fattore che a lungo andare può portare alla formazione di ruggine o a deformazioni della vasca, delle alette e di altre parti. Temperature come quelle da noi indicate tuttavia (350-400 °C) sono evidentemente più basse rispetto ai valori limite, e non apportano in alcun caso problematiche di questo tipo.
In sintesi, potete magnarvi la vostra pizza in assoluta e totale tranquillità.
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